Far scrivere un romanzo a GPT-3
Si fa un gran parlare (e sparlare…) di ChatGPT e delle potenzialità della sua Intelligenza Artificiale.
Ho visto tanti esempi, buoni e cattivi, allarmati o eccitati, di usare questa potentissima tecnologia. Ma quasi tutti erano solo chiacchierate con ChatGPT, oppure poco più.
Ho voluto provare qualcosa in più: usare le API (Application Programming Interface) di ChatGPT spingendo un po’ più in là il confine dell’esplorazione. Visto che sicuramente la capacità di questo LLM (Large Language Model) è tutta sulla linguistica, mi è parso naturale esplorare la possibilità di fargli scrivere un romanzo in autonomia. E, vista la mia passionaccia per la narrativa, ho scelto di provare a fargli usare come “stile di scrittura” il mio.
Beh, to make a long story short: successo pieno! Se volete vedere il risultato, ecco qui il link al PDF: https://bit.ly/PortaDelTempo
Impressionante no? Vi voglio dettagliare i passaggi.
- Ho creato uno script di una sessantina di linee di codice e gli ho passato in input un unico spunto iniziale: “Il protagonista Jon Doe è un pluriassassino ed è stato condannato ad essere proiettato tre secoli nel futuro. Si risveglia nel futuro ma non ha cognizione del suo stato e dovrà ricostruire la sua identità“.
- Con lo script ho fatto generare una quarantina di passaggi della trama del romanzo con un tecnica di “proponi – riassumi – proponi…” in cui non ho dato nessun contributo umano alla generazione del testo.
- Ho usato l’ultimo riassunto ottenuto per far generare (sempre via API) sia il titolo (“La Porta del Tempo: battaglia contro il Signore dei Sogni“) che l’immagine di copertina (quella che trovate in testa all’articolo) e alcune illustrazioni (qui ho usato la API images/generations cioè quella di DALL-E).
Qui il passaggio più complesso: addestrare un modello al mio stile di scrittura. Ho proceduto così:
- Ho raccolto una buona fetta di mia “produzione letteraria” (circa 150.000 parole, cioè 600.000 caratteri) e ho spezzettato il testo in 300 “chunk” da una pagina circa (by the way: codice Python scritto mediante ChatGPT, tanto per gradire).
- Con un altro script ho dato in pasto i trecento prompt a GPT-3 chiedendo di estrarne una sintesi minimale. Ho impacchettato il tutto usando le sintesi come “prompt” e i testi originali come “completion” e ho addestrato in fine-tuning un nuovo modello di GPT-3 (per i curiosi si chiama “davinci:ft-andrea-bonvicini:stileab-2023-01-15-14-50-14“)
- Ho preso il primo spunto del romanzo suggerito da GPT-3 al passo 2 e gli ho fatto generare la prima pagina del romanzo, intitolata “La stanza era vuota“. Beh, vi posso giurare che lo stile collima con il mio in maniera davvero impressionante…
Al termine dell’elaborazione (nota da ricordare: l’unico input umano sono poche righe di testo per lo spunto iniziale) ho tutto direttamente in un documento Word generato in automatico e quel che mi basta è formattarlo con qualche click, impaginare le immagini… et voilà! (ecco qui di nuovo il link al PDF: https://bit.ly/PortaDelTempo)
A questo punto avrei potuto continuare il loop e fargli generare le altre pagine ma mi è bastato, anche perché usare le API di GPT-3 ha un costo. Già, il costo: meno di 35 dollari… di cui la gran fetta (32-33$ dollari circa) per addestrare il modello linguistico.
In buona sostanza, una volta addestrato il modello con il mio personale stile di scrittura, potrei generare romanzi “a manetta” al costo di un paio di dollari l’uno…
Lesson learned, ora:
- la potenza degli strumenti è davvero impressionante;
- per sfruttarla ChatGPT è una bella interfaccia semplice e intuitiva, ma le API possono dare ottime soddisfazioni in termini di automazione e di settaggio fine del risultato;
- se vuoi ottenere testi consistenti è necessario il fine-tuning di un modello;
- fare il fine-tuning è piuttosto semplice (GPT-3 mette a disposizione una serie di strumenti CLI che velocizzano il tutto e non è male l’idea di coinvolgere sempre GPT-3 nel processo di definizione prompt-completion);
- bastano (e probabilmente avanzano) 300 coppie prompt-completion per addestrare il modello.
Ringraziamenti
Spunti di programmazione li ho trovati in due esperti, uno italiano e uno statunitense:
- Alessio Pomaro: https://www.alessiopomaro.it/ https://www.linkedin.com/in/alessiopomaro/
- Dave Shapiro: https://www.davidkshapiro.com/ https://www.linkedin.com/in/dshap-automator/
A loro i miei più sentiti ringraziamenti!
Gallup top 7 – 2021 (2): Il paradosso benessere-impegno del 2020
Benessere e impegno nel 2020 hanno cominciato a divergere
Seconda puntata della “mini-serie” in cui riassumo 7 tra gli articoli più importanti comparsi nel 2021 sul sito di Gallup, istituto di ricerca sociale statunitense che studia le tendenze più importanti nel mondo aziendale.
In questo articolo si parla del “paradosso benessere-impegno”: di solito questi due indicatori, monitorati costantemente da Gallup a livello mondiale, viaggiano insieme. Quando cresce il benessere le persone si sentono più impegnate sul lavoro, e un aspetto rafforza l’altro. E altrettanto se cala l’indicatore di quanto le persone si sentono ingaggiate e coinvolte in azienda, altrettanto cala la percezione di benessere. Eppure nel 2020, durante la pandemia, non è stato così. In particolare in relazione al tema del lavoro da casa durante il COVID-19 le persone hanno fatto esperienza di livelli crescenti sia di coinvolgimento sia di emozioni negative, come stress e preoccupazione. Quindi i due indici sono andati in direzioni opposte.

Ci si poteva ben aspettare che, alzandosi il livello di stress percepito, il coinvolgimento dei dipendenti precipitasse a causa delle difficoltà causate dalla pandemia. Eppure non è stato così.

Quindi gli sforzi, l’entusiasmo e l’impegno di molti dipendenti sono stati costanti durante il COVID-19, nonostante ogni giorno sperimentassero un nuovo tipo di stress e preoccupazione.
È significativo che il dato specifico dei lavoratori a distanza indica che hanno sperimentato un coinvolgimento significativamente maggiore rispetto ai lavoratori in loco per la maggior parte della pandemia.
Quindi lavorare da casa durante il COVID-19 è stato associato a livelli più alti sia di coinvolgimento che di emozioni negative, come stress e preoccupazione.
Eppure, paradossalmente, dobbiamo ritornare all’indicazione generale che di solito coinvolgimento e benessere devono crescere insieme. Evidentemente i lavoratori hanno risposto in questo periodo di forte stress con un surplus di impegno e coinvolgimento: ma questo, come manager, dirigenti e formatori, ci deve ricordare che è nostro dovere rispondere con un’attenzione particolare ad aiutare le persone a investire sul proprio benessere in azienda e al lavoro, anche da remoto per rispondere alle situazioni di alta sfida di questo periodo.
Una proposta innovativa in questo senso: il neurofeedback dinamico non-lineare di cui parlo in questo articolo: “Neurofeedback: la danza del cambiamento“.
Gallup top 7 – 2021 (1): La “grande dimissione” è piuttosto il “grande malcontento”
“Grandi dimissioni” o “Grande malcontento”? (e altrettanto grandi costi per le aziende che non cominciano a cambiare?
In questa “mini-serie” riassumo 7 tra gli articoli più importanti comparsi nel 2021 sul sito di Gallup, istituto di ricerca sociale statunitense che studia le tendenze più importanti nel mondo aziendale.
In questo articolo si parla del fenomeno delle “Grandi Dimissioni”: a seguito della pandemia COVID in tutto il mondo (a partire inizialmente dagli USA) si sta manifestando un numero elevato di persone che ha deciso di rivedere radicalmente il proprio approccio al lavoro, con un’ondata importante di dimissioni.
I tre punti chiave dell’articolo:
- Quasi la metà di tutti i dipendenti statunitensi sta pensando a cambiare lavoro.
- Il livello di coinvolgimento (engagement) dei lavoratori con il proprio lavoro è statisticamente molto correlato alla fidelizzazione dei dipendenti (e quindi è correlato inversamente al tasso di turnover).
- È quindi arrivato il momento di ripensare alla strategia aziendale di fidelizzazione dei dipendenti.
Questa tabella mostra chiaramente il trend di crescita di persone che sono sempre meno coinvolte (engaged) con il proprio attuale lavoro.

La maggior parte dei dipendenti quindi “non è coinvolta” con il proprio lavoro o è addirittura “attivamente disimpegnata” rispetto ad esso. Questo ha un impatto pesante di costi per le aziende. Gallup stima che la perdita di produttività dei dipendenti non impegnati e attivamente disimpegnati è pari al 18% del loro stipendio annuo.
Nel seguito dell’articolo Gallup parla quindi delle strategie di fidelizzazione dei dipendenti.
Fin qui l’articolo: ma ora qualche considerazione. È evidente che ormai non possiamo prescindere dal guardare in maniera complessiva a che il dipendente abbia un’esperienza positiva di lavoro, una possibilità di essere valorizzato nelle sue qualità, considerato come persona. Il luogo di lavoro non può più “prendere lavoro e dare una paga”: le persone (e in particolare i giovani, come diremo in un articolo seguente di questa mini-serie) guardano al proprio lavoro come un luogo in cui crescere umanamente e vivere il proprio ben-essere. Non più “𝐥𝐚𝐯𝐨𝐫𝐨 = 𝐩𝐚𝐠𝐚 = 𝐩𝐨𝐢 𝐦𝐢 𝐜𝐮𝐫𝐨 𝐝𝐢 𝐦𝐞 𝐜𝐨𝐧 𝐪𝐮𝐞𝐢 𝐬𝐨𝐥𝐝𝐢” ma “𝐥𝐚𝐯𝐨𝐫𝐨 = 𝐟𝐚𝐜𝐜𝐢𝐨 𝐛𝐞𝐧𝐞 = 𝐬𝐭𝐨 𝐛𝐞𝐧𝐞 = 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐮𝐧𝐚 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐚 𝐢𝐧 𝐩𝐢𝐞𝐧𝐞𝐳𝐳𝐚”.
Quindi tocca agli imprenditori e ai manager farsi carico di questi temi, perché senza di essi l’azienda avrà costi (turnover, riduzione di produttività, difficoltà a attrarre talenti…) e spetta a noi consulenti dare metodi e strumenti (https://www.andreabonvicini.it/servizi/) per implementare nuove strategie di ben-essere delle persone tutte in azienda.
Neurofeedback: la danza del cambiamento
La danza allo specchio: una bella metafora della nostra mente che si allena con il neurofeedback
E se ci fosse un modo per allenare con semplicità il nostro cervello, fargli riassumere tono, vitalità, freschezza? La neuroplasticità è una qualità innata del nostro cervello di ripararsi, modificarsi, adattarsi agli stimoli esterni e le neuroscienze stanno studiando solo da qualche anno questa meravigliosa capacità.
Sono stati prodotti vari strumenti di “brain training” negli anni, alcuni in forma di giochi (Lumosity è il più famoso), altri, più complessi e strutturati, come strumenti da usare sotto controllo di personale medico: in questo caso si parla di neurofeedback clinico e siamo nel campo della cura del trauma.
Da qualche anno si sta facendo largo un nuovo strumento, il neurofeedback dinamico non lineare di Neuroptimal®, è un sistema di Neurofeedback dinamico non lineare che favorisce, supporta, crea le condizioni per la realizzazione del benessere psicofisico e mentale, sviluppando le potenzialità e l’armonia delle funzioni cerebrali. Il sistema si fonda sui principi della neuroplasticità e dell’omeostasi dinamica, ma non è un dispositivo medico. La FDA (Food & Drugs Administration), l’organismo statunitense di riferimento in questo campo, lo definisce “General Wellness Product“, cioè un prodotto per il benessere generale, permettendone quindi un uso largo, non legato ad alcuna diagnosi, e applicabile in un’ampia serie di contesti.
Il neurofeedback con Neuroptimal® si fonda sui principi della neuroplasticità e dell’omeostasi dinamica attraverso i quali il cervello è alla ricerca perpetua delle condizioni ideali di equilibrio ed è in continua evoluzione. A qualsiasi età e qualunque sia la condizione psicofisica della persona, il cervello è in grado, grazie al supporto del Dynamical Neurofeedback®, di ritrovare la stabilità e l’efficienza perduta a causa affaticamento psicofisico che una persona ha accumulato nel corso della propria vita.
In un contesto così sfidante come quello che stiamo affrontando, ho deciso di approfondire l’uso di questo strumento, usandolo e testandolo in prima persona. Sono rimasto davvero stupito dei risultati conseguiti in termini di presenza mentale, capacità di attenzione e focus, determinazione nelle scelte e scioltezza nelle diverse situazioni. Un preciso senso generale di “avere il controllo della situazione” in maniera potente ma rilassata, prossima a una permanenza di uno stato di flow quale è stato definito e studiato da Mihály Csíkszentmihályi (si veda il suo libro “Flow. Psicologia dell’esperienza ottimale“).

E’ per questo che ho ottenuto la certificazione di Trainer, e ora sono “fiero di offrire sessioni Neuroptimal®“!
Il principio di funzionamento è straordinariamente semplice: applico alla persona 5 sensori, due sulla tecnica cranica (e sono i veri e propri “lettori” dello stato elettrico a livello della cute) e tre sulle orecchie (servono solo come riferimenti). I sensori sono connessi alle apparecchiature Neuroptimal® e la persona, attraverso delle cuffie, ascolta della musica.
E qui comincia la “magia” (se non fosse tutta scienza): quando si ascolta una musica melodica, il cervello si abbandona al suo scorrere e tende ad anticiparne l’andamento. Durante la sessione di NeurOptimal® l’ascolto viene disturbato, cioè brevissimamente interrotto, ogniqualvolta il cervello entra in un’area di variabilità emergente. In questo modo, ogni volta che il cervello attua schemi disfunzionali, la musica viene sospesa per una frazione di secondo, per un istante in tutto simile a quando salta la puntina su un disco in vinile. Questo disturbo crea un feedback negativo per il cervello, che cerca una nuova organizzazione, attuando una risposta di ri-orientamento con successiva “sincronizzazione attraverso il caos“.
E’ da molto che studio i migliori sistemi di biofeedback e neurofeedback per aiutare i contesti organizzativi e aziendali e soprattutto le persone al lavoro: fa parte della mia mission: “Aiutare, affiancare, formare e stimolare persone e aziende, perché le persone fioriscano e le aziende prosperino”.
Neuroptimal® risponde appieno a questo bisogno: è semplice, efficace, non richiede un impegno giornaliero della persona (tipicamente si fanno un paio di sessioni alla settimana, anche se non ci sono “protocolli” predefiniti) e tutto è gestito in autonomia dal Trainer.
Credo che in azienda Neuroptimal® abbia un campo di applicazione vastissimo. I tempi brevissimi, le pressioni continue dal mercato che cambia, la stanchezza anche del nuovo contesto creato dal COVID con il lavoro in remoto: tutto questo sta creando un ambiente sempre più difficile da gestire e in cui la defocalizzazione è continua. Abbiamo bisogno di focalizzarci di più, con maggiore naturalezza, mantenendo al centro gli obiettivi ma soprattutto la nostra capacità di stare presenti ad essi e alle persone dei nostri team. Questa è la promessa di Neuroptimal® e queste testimonianze da imprenditori e manager credo siano significative:
“Brain training that works” è lo slogan di questo strumento
Nasce così una vera e propria ginnastica per il cervello che, attraverso un allenamento, viene stimolato a cercare strade alternative, nuove e funzionali per ritrovare il proprio benessere. NeurOptimal® promuove così ad ogni nuova sessione un potente processo di autoregolazione e autoguarigione attraverso il cambiamento.

Voglio del tutto chiarire che questo strumento non ha natura medica e quindi non è pensato per la “cura” o la “terapia”. Potrei dire che il protagonista assoluto è il cervello (la mente!) della persona che fa la sessione, con l’assistenza di un algoritmo matematico molto avanzato che non fa null’altro che “fare un fischio” al cervello quando nota una variabilità emergente nei suoi schemi adattivi. Il sistema, è importante sottolinearlo, non “immette” nulla nella persona; i sensori sono totalmente passivi e l’energia in gioco è solo quella del cervello della persona. In totale analogia a un allenamento sotto l’occhio attento di un coach, quando questi nota un comportamento semplicemente diverso dal solito (questo si intende con variabilità emergente), manda un fischio al cervello persona in allenamento solo attraverso quella brevissima interruzione della musica. E’ poi il cervello a valutare se lo schema appena trascorso è di una risposta adattiva a una novità o se è invece dovuto a uno schema ripetitivo e quindi anche disfunzionale. Il cervello stesso in allenamento cerca allora in autonomia nuove strade e nuove soluzioni, senza alcuna forzatura né indicazione.
I campi di applicazione sono davvero sterminati e qui ne troverete un lungo elenco. A me interessano soprattutto le applicazioni in azienda, quindi sicuramente il tema del focus (vedi qui https://neuroptimal.com/brain-training-and-focus/) e della gestione dello stress e dell’affaticamento. Credo che sia possibile, e lavoro per questo, lavorare in maniera soddisfacente e produttiva mantenendo però una focalizzazione fluida e adattabile, non agendo cioè attraverso lo “sforzo” ma attraverso lo “stato di pronto” o “mente come l’acqua” di cui parla David Allen.
Le testimonianze sono molte e la ricerca scientifica alla base di Neuroptimal® è vasta e consistente.
Ma probabilmente il miglior modo di convincersi delle potenzialità di questo strumento è il “metodo della marmellata”: niente di metterci un dito e assaggiarla. Per questo sono a disposizione e sono fiero di offrirvi sessioni Neuroptimal®!
- https://www.neurottimo.it/news/ testimonianze dal sito italiano di Neuroptimal®
- https://www.neurottimo.it/esempi/ esempi di aree di applicazione
- NeurOptimal Brain Training Systems – YouTube canale Youtube di Neuroptimal®
- https://www.youtube.com/watch?v=oOR0X70sw5E&list=PL2F6A537E74570705 La playlist YT “Inspiring NeurOptimal® Stories”
- https://neuroptimal.com/research/ ricerche scientifiche su Neuroptimal®
- https://www.youtube.com/watch?v=sYs2tpF5Kko un breve video introduttivo
Cosa sostiene lo sguardo? Lo Scopo
Perseguire lo scopo
Per ripartire è necessaria una fiducia:
che cosa ce la dà?
cosa la sostiene?
Nulla al di fuori di noi. La fiducia è uno sguardo fisso sullo scopo. Di nuovo ci aiutano le parole: scopo viene dal greco σκοπεῖν (skopèin) cioè guardare, osservare attentamente, volgere lo sguardo in una direzione e tenercelo fisso.
Un semplice schema aiuta a tenerlo a mente: la “scala dei livelli (neuro)logici” di Robert Dilts ci aiuta a tenere sott’occhio gli elementi che danno sostanza e movimento a ogni nostra azione.

- Innanzitutto dobbiamo tenere presente che ogni nostra azione si svolge all’interno di un certo Conteso, di un certo Ambiente (la circostanza della crisi COVID-19 per noi oggi).
- È in questo contesto che poniamo in essere le nostre Azioni, i nostri Comportamenti. Essi sono di per sé neutri, semplici, rilevabili. Quindi la ripresa delle nostre aziende, delle attività, l’organizzazione per implementare le regole di distanziamento e i vari protocolli.
- Ma se ci fermiamo un attimo a pensare bisogna che le nostre azioni siano supportate dalle giuste Abilità, dalle opportune Competenze. Cioè le nostre azioni devono essere fatte bene, dobbiamo mettere in atto i protocolli anti COVID-19 non in maniera asettica ma formando le opportune conoscenze, addestrando le capacità delle persone di agire bene quelle stesse azioni.
- Se ancora ci soffermiamo a ragionarci un poco dovremmo chiederci che cosa ci porta a agire bene e non in maniera sciatta e improvvista. E allora dovremmo tirare in campo i criteri che orientano i nostri comportamenti, cioè le nostre Convinzioni, i nostri Valori, cioè i Motivi che ci orientano in una maniera o nell’altra. E allora dovremmo far riferimento al valore della Salute, del Benessere delle persone. Possiamo motivare adeguatamente le nostre persone a agire bene solo diamo dei validi Motivi per agire così.
- Se una nostra persona però ci provocasse a chiedere che cosa in fin dei conti ci stimola a mettere in campo quei Valori, dovremmo probabilmente rispondere: “Perché Io sono fatto così, cioè questa è la mia Identità”. Ti chiedo, in questi giorni, di tenere la mascherina ben calzata su bocca e naso, perché ci sono validi Motivi igienici per farlo e son convinto che è bene tutelare la salute di tutti perché questo sono Io, perché ho sempre insegnato di guardare il bene delle persone e non posso cambiare le mie Convinzioni senza rinnegare Me stesso.

Occorre riscoprire la Ghianda , come diceva James Hillman
- Se davvero però mi chiedessero perché di tutto questo al fondo, non potrei fare altro che tirare in ballo lo Scopo che ho nella vita, cioè la mia Mission personale e aziendale, o come meglio direbbe Simon Sinek dal rendere centrale il Why personale e aziendale. Dovrei dire che Io sono definito dal raggiungimento del mio scopo, della mia realizzazione, di ciò che mi realizza, cioè l’andar dietro alla mia Vocazione, con una parola ormai quasi del tutto inutilizzata. Occorre “riscoprire la Ghianda” come diceva James Hillman, cioè la radice di me che contiene “in nuce” già tutto, la Quercia che sono chiamato a essere da sempre, il Senso e lo Scopo di me e quindi anche del mio lavoro.
Ecco quindi ciò che ci orienta, che ci sostiene, che ci motiva, che ci fa scegliere una strada o un’altra, un modo, un’attenzione, uno stile di azione. E’ solo l’Orientamento allo Scopo che ci sostiene, in ultima analisi; quasi si potrebbe dire, non il suo raggiungimento ma averlo continuamente presente come senso e discrimine.
Alle aziende, agli imprenditori, ai lavoratori, a ciascuno, oggi è chiesto questo: rimettere in campo il proprio Scopo, riscoprirlo se necessario, ridefinirlo se è utile, rimetterlo al centro e lasciarsi “rifare” dallo scopo.
#GrowthMindsetter #parole #crisi #SARSCoV2 #imprese #scopo #Dilts #Hillman
Reinventarsi durante la crisi COVID-19
Il Social Distancing Whooper, con tripla cipolla “che aiuta gli altri a starti lontano“: un esempio magnifico, ironico, immaginifico e basato sul core business aziendale per rendere la crisi COVID-19 un’occasione invece che una scusa per lamentarsi.
Le nostre aziende devono guardare così a se stesse e al proprio futuro dentro questa circostanza sfidante.
Ripensarsi, basarsi sul proprio ma non sul proprio consolidato. Non è solo una spruzzata di marketing, sono parole sì, anche, ma parole per dire di sé, come è una parola anche il proprio nome.
#GrowthMindsetter #parole #crisi #creatività #COVID_19
Tutto troppo complesso? Taglia il superfluo!

E’ noto che fine fece il nodo gordiano: troppo complesso da sciogliere, finì malamente per colpa della spada (e dell’impazienza?) del futuro Alessandro Magno.
Perché le aziende e le organizzazioni tendono a diventare sempre più complesse (dal latino complèxus = abbracciato, legato, pieno di nodi insomma)? E perché non abbiamo il coraggio di Alessandro e darci un bel taglio. Ma, lo sapeva bene don Abbondio, “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”, al massimo, se gli va bene, provvedono le circostanze a averlo per lui.
Guardiamo bene a cosa ha fatto la crisi COVID-19: da quanto era che noi consulenti di estrazione (anche) informatica) raccomandavamo di introdurre lo smart working? La risposta è sempre stata che era troppo complesso. Ebbene, detto fatto il COVID-19 nel giro di 15 giorni ci ha messo tutti forzatamente in smart working e ora le aziende sanno per esperienza che è possibile ed è bene farlo. Val più l’esperienza che il ragionamento: “Molta osservazione e poco ragionamento portano alla verità” sintetizzava Alexis Carrel, premio Nobel per la medicina.

“Molta osservazione e poco ragionamento portano alla verità”
Alexis Carrel
Guardiamo un po’ più a fondo a questo problema: perché le organizzazioni tendono a diventare estremamente complesse con l’andar del tempo, virando vero l’inefficienza? Per una doppia sfocatura: aver perso di vista il contesto e aver perso di vista lo scopo, per riprendere i termini della scala dei livelli logici di R.Dilts di cui scrivevo in un precedente post (sito https://bit.ly/2MYlD2R Linkedin https://bit.ly/3cglf9S). Perdere il contesto è perdere ciò che ti dice quel che c’è da fare (servire il cliente e i suoi bisogni, per semplificare), mentre perdere lo scopo è dimenticare perché lo vuoi fare (la cosiddetta mission personale e aziendale). In qualche maniera si sono sfocati i due riferimenti esterni dell’agire e l’organizzazione si è ripiegata sulle proprie idee e sulle proprie esigenze: il cliente e lo scopo non sono più davvero al centro e, siamo sinceri, ci si concentra sulle procedure e sulla gestione degli spazi di potere. In qualche maniera sia l’azienda che le persone si ripiegano sull’ego (riferimento interno appunto). Ma ci pensa la realtà, spesso, a farci rinsavire, come nell’esempio precedente, e a costringere a guardare fuori.
Ma perché aspettare la prossima crisi e non cominciare a ripensarsi davvero? Cominciamo a tagliare il superfluo (leggi: potere, regole, ego) e lasciamoci guidare a un bagno di umiltà. Ora, non accusatemi di essere un fan degli hamburger (non lo sono) ma di nuovo, dopo il post precedente (sito https://bit.ly/3f2rLTp Linkedin https://bit.ly/3dK3yRJ), parlerò della succulenta polpetta di carne amata da Poldo, amico di Braccio di Ferro.

Uno dei più rinomati, e cari!, ristoranti al mondo, il noma (nordisk mad) dello René Redzepi ha riaperto dopo la forzata chiusura di quarantena, come un hamburgheria e vineria accessibile a tutti e perfino con menu da asporto! Certo, Redzepi dice che dopo un periodo ritorneranno ai loro standard di ristornate sempre tra i top 50, due volte “campione mondiale”, menu medi da 500€ e sei mesi di pre-prenotazione. Ma intanto lo chef ha sentito il bisogno di tornare alle origini, servire pranzo e cene buoni, a clienti che vivono un certo periodo sociale e storico. E’ tornato alle basi, al contesto e allo scopo per dirla di nuovo con Dilts, e vuole ricominciare, giustamente da lì.
E tu, cosa intendi fare per tagliare il superfluo? Qual è il tuo essenziale per ripartire?
#GrowthMindsetter #parole #crisi #imprese #essenziale #superfluo
La ricerca di senso al lavoro
Segnalo questo illuminante articolo di Vittorio Pelligra su “Il Sole 24 Ore” (rubrica “Mind the Economy”).

Già il titolo è interessante: “La ricerca di senso, anche al lavoro, non può essere un lusso per pochi” e il sottotitolo chiarisce: “Ogni lavoro, con pochissime eccezioni, può essere o può diventare un lavoro generatore di senso”.
Raro (purtroppo) sentire parlare di scopo nei luoghi di lavoro. Non posso che essere d’accordo: è assolutamente in linea con quanto cerco di riportare qui nei miei interventi.

#senso #scopo #azienda #lavoro
(Grazie all’amico @Francesco Faccioli per la segnalazione!)
Aziende che vogliono crescere

Spesso sento dire che solo le grandi aziende hanno la possibilità di investire nella crescita del personale.
Nella mia esperienza non è così. Due soltanto sono gli elementi necessari:
- un’azienda in cui i temi della crescita, dell’innovazione, del cambiamento siano all’ordine del giorno.
- il committment a ottenere il cambiamento attraverso le persone della proprietà della direzione.
Se ci sono questi elementi poi si trovano di sicuro il tempo per farlo, le risorse umane e finanziarie ci sono, la partecipazione e addirittura l’entusiasmo delle persone coinvolte sgorgano naturali.

E’ quanto ho esperimentato nuovamente ieri in RK Macchine a Rovereto:
RK è un’azienda che fa dell’innovazione nella meccanica il proprio fine (“Ingegno per l’industria” è il loro payoff) e che ha in Andrea Rao (fondatore e “mente” brillante) e Stefano Chignola (general manager e “braccio” orientato alla crescita) una “alta direzione” committed e visionaria. E una squadra di 10 persone che hanno scelto la proattività e lo stile del “vincere vincere” i loro nuovi fari di orientamento.
Complimenti a tutti. Crescerete alla grande!
#HR #7Habits #crescita #teambuinding #cambiamento